NEWS Un esame per prevedere l’infarto
Anticipare un evento grave come un infarto rappresenta una sfida costante per la comunità medica e scientifica.
Fino ad oggi, gli sforzi si sono concentrati principalmente sui fattori di rischio persistenti nel tempo, come l’età, il sesso, il fumo e altri, trascurando le dinamiche più immediate che possono predisporre a un attacco cardiaco.
Un recente studio condotto da ricercatori dell’Università di Uppsala, in Svezia, in collaborazione con altri team europei, ha portato a una scoperta rivoluzionaria: l’identificazione del rischio di infarto nei successivi 6 mesi attraverso un innovativo algoritmo online.
I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Cardiovascular Research e hanno coinvolto un campione di 169.053 persone provenienti da 6 diverse regioni europee, tutte prive di pregresse malattie cardiovascolari.
Nel corso dei 6 mesi di studio, 420 partecipanti hanno purtroppo subito un infarto.
Analizzando i campioni di sangue pre-infarto insieme a quelli dei partecipanti sani, i ricercatori hanno individuato livelli più elevati di specifiche proteine e metaboliti nei soggetti che successivamente hanno sperimentato un attacco di cuore.
Un risultato rilevante è stato lo sviluppo di un algoritmo online in grado di valutare il rischio di infarto 6 mesi prima che si verifichi, combinando dati biologici con fattori di rischio come età, sesso e pressione arteriosa.
Questo esame del sangue particolare, accessibile online a chiunque, potrebbe rivoluzionare l’approccio alla prevenzione cardiovascolare, incoraggiando le persone ad adottare misure preventive come smettere di fumare o migliorare il proprio stile di vita.
Il team di ricerca intende ora approfondire il ruolo delle 90 molecole identificate nello studio, al fine di sviluppare opzioni terapeutiche più mirate.
Grazie a queste nuove scoperte, il futuro della prevenzione degli infarti potrebbe essere notevolmente più promettente.
L’identificazione del rischio di infarto con un anticipo di 6 mesi potrebbe consentire interventi tempestivi, migliorando significativamente la qualità della vita delle persone a rischio.